“Con voi!”, ci saluta allegro, riprendendo il cammino, l’uomo con la carriola. Si stava chiedendo se il dragone in creta, sua creazione dormiente sotto enormi teli nel gelo dell’inverno, potesse aver freddo. “Avete mica una coperta?”, ci ha abbordati. Il primo degli originalissimi incontri che hanno costellato i nostri due giorni a Damanhur. “Con te”, lo congeda Macaco, la nostra mentore per la mattinata. A Damanhur si sperimenta tutto, anche il saluto.
Ora siamo di fronte al Tempio Aperto, luogo storico nel cuore pulsante di questa comunità di circa mille anime. “Noi riteniamo che la realtà sia un cristallo composto da numerose facce. E che ogni faccia non sia che una tessera di questo mosaico. Crediamo dunque che ogni idea non sia altro che una parte di realtà e come tale vada accolta. In questo caso, ad esempio, siamo del parere che ogni credo religioso rappresenti uno spicchio di verità. Per questo si chiama Tempio Aperto, non perché non ha un tetto, ma perché è aperto a ogni forma di spiritualità. Più disponiamo di pluralità di idee, testimonianze, credenze più ci avviciniamo alla realtà che pur resta approssimativa in ragione della soggettività delle percezioni, allo sconosciuto, al mutevole. Per questo motivo anziché riferirci a un reale, preferiamo riferirci a un quasi reale”. Mentre Macaco spiega, un uomo si è posto con naturalezza all’entrata del tempio. Se ne sta a gambe e braccia leggermente divaricate e con i palmi delle mani rivolte all’altare dedicato al Fuoco, sul quale si trova un enorme cristallo. Solo io ci bado mentre Macaco continua: “L’accesso al cuore del tempio è consentito unicamente durante le celebrazioni. Noi crediamo che vi siano delle energie che vogliamo preservare evitando eccessive interferenze”. Oltrepassiamo l’incolto pure con divieto di accesso che la comunità ha voluto riservare agli esseri di natura dopo aver espropriato loro un bel po’ di terreno per insediarvi le proprie attività.
Condivisione, ricerca spirituale e filosofica, crescita personale, creatività sono i temi di Damanhur; affrontati con spirito aperto e critico nel contempo: mettere in discussione è la parola d’ordine e non prendersi sul serio un affare serissimo. Ne è un esempio una delle numerose usanze damanhuriane: quella di assumere il nome generalmente di un animale e una pianta, è facoltativo ma lo fan quasi tutti. Si tratta di un gioco tipicamente damanhuriano: gioioso, ma che richiede impegno e consapevolezza. Il nome lo si assume infatti attraverso un laborioso iter che coinvolge l’intera comunità: “Cambiare nome è un processo in cui ci si deve esporre molto. Un modo per conoscersi, farsi conoscere, conoscere gli altri. Un’occasione di relazionarsi agli altri in modo profondo. La scelta di nomi di piante o animali evidenzia il forte legame con la natura, ma è anche un modo di prendendosi un po’ in giro”. E visto che a Damanhur tutto è fluire, il nome lo si può pure lasciare o nuovamente cambiare.
Quando dice “noi”, e lo dice sovente, il damanhuriano pensa a una grande famiglia di persone che si sono riunite con l’intento di “aiutarsi reciprocamente attraverso la fiducia, il rispetto, la chiarezza, l'accettazione, la solidarietà, la continua trasformazione interiore. Ognuno si impegna ad offrire agli altri ulteriori possibilità di rilancio” come recita il primo articolo della Costituzione della Federazione di Damanhur.
Il fondatore Oberto Airaudi, Falco per i damanhuriani, è a tutt’oggi ispiratore e punto di riferimento per i membri della comunità pur non rivestendo ruoli di responsabilità. Fondata nel 1975 la comunità deve il suo nome all’omonima città egiziana un tempo sede di un tempio dedicato a Horo, il Dio-falco a cui è associata l’unificazione fra l’Alto e il Basso Egitto.
Damanhur è un esperimento sociale nato per realizzare il sogno di una società basata sull'ottimismo e sul fatto che l'essere umano possa essere padrone del proprio destino senza dover dipendere da altre forze esterne a sé. Insediata in Val Chiusella, nella zona montuosa nei pressi di Ivrea, alle porte della valle d’Aosta, si estende oggi su circa cinquecento ettari in gran parte boschivi ma comprensivi anche di aree agricole e produttive, con appezzamenti ed edifici integrati in diversi comuni. Gruppi di una ventina di persone praticano la vita comunitaria in abitazioni in cui dispongono di camere private e spazi comuni. Sono i nuclei comunità. Ricerca e sperimentazione sono il fil rouge che caratterizza la quotidianità di ogni damanhuriano. Nell’affrontare le quotidiane situazioni di convivenza ma anche nel seguire uno scrupoloso iter di crescita personale nonché impegnandosi nelle attività comuni. Ogni nucleo, ad esempio, si occupa di un settore specifico di ricerca per beneficio dell’intera comunità. Il tutto è assemblato da un intento comune: travalicare l’individualismo a favore del bene collettivo.
“Oggigiorno abbiamo frammentato tutto, l’universo, l’atomo, la società. Ora è giunto il tempo di ricercare nuove forme di unione”, ci dice Orango, tra i fondatori di Damanhur, realtà che vuole essere fucina di esperienze a disposizione dell’umanità tutta. Apertura, scambio e incontro sono preponderanti per i damanhuriani che sono molto attivi anche in seno alle località in cui sono inseriti con iniziative sociali per anziani, giovani, nell’ambito del soccorso, nel creare opportunità economiche. Circa la metà di loro ha un impiego esterno alla comunità e la loro presenza ha ridato slancio a valli vieppiù abbandonate. Tra i numerosi edifici recuperati spicca la ex fabbrica Olivetti, simbolo regionale della prosperità di un tempo, riportata in vita come centro culturale, artigianale e commerciale. Da tre legislature il sindaco di Vidracco è il damanuriano Elfo Frassino. Voto risicato alla prima legislatura, plebiscito alla terza con l’80% di consensi. I damanhuriani soffrono della diffidenza con cui sono accolti all’esterno, loro vorrebbero dialogare col mondo, ma non sempre il mondo vuole dialogare con loro, è forse il prezzo da pagare quando ci si riunisce in comunità, una forma sociale percepita come esclusione volontaria dalla società o resistenza al pensiero dominante. Per questo sono molto impegnati a mostrare che la loro è una comunità aperta e oltre a un sindaco, hanno esportato tantissimo know how, in campo filosofico, della medicina naturale, della socialità e delle energie rinnovabili, senza dimenticare gli incredibili Templi dell’Umanità opera d’arte ipogea scavata segretamente a mano in quindici anni di lavoro volontario e notturno dai cittadini di Damanhur e oggi ammirata da numerosissimi visitatori. Tutti sono i benvenuti a Damanhur, per una visita, un corso, una celebrazione o solo per curiosità.
I damanhuriani sono un popolo di entusiasti. Fieri anche, dei traguardi raggiunti grazie a un’organizzazione volta a far fiorire il meglio in ogni singolo cittadino. È qualcosa di molto simile all’orgoglio materno che percepiamo in Macaco ogni qual volta narra dell’operato dei membri della comunità. “Sì, noi percepiamo il successo di ognuno come il successo di tutti”, ci conferma Formica, quando glielo facciamo notare. Come Macaco, Formica si occupa delle relazioni pubbliche per Damanhur. Di formazione elettricista Formica è a Damanhur da ventisette anni, giunta in seguito alla visione di una trasmissione televisiva. Istrice, suo figlio, ne ha quattordici. A nove – età minima per farlo – ha deciso di prendere il nome. A diciotto potrebbe far domanda di cittadinanza a Damanhur ma ancora non sa. Essere damanhuriani implica degli oneri e anche chi vi è nato, per ottenere cittadinanza dopo i quattorici anni, deve seguire il consueto iter di ammissione che può durare da sei mesi a due anni. “A Damanhur è più facile uscire che entrare. Per noi è anche importante che i nostri figli siano liberi di fare le loro scelte e le loro esperienze anche al di fuori della realtà comunitaria. Certo possono sempre vivere presso di noi senza assumere lo statuto di cittadini, come fanno numerose altre persone”. Dhamanur si occupa della scolarizzazione dei figli dai due anni ai quindici, con una scuola della prima infanzia, le elementari e le medie. Le classi sono di cinque elementi di diversa età “per favorire l’aiuto reciproco anziché la competizione” e la scuola è spesso itinerante “per noi è importante insegnare l’apertura verso gli altri, la multiculturalità”. A damanhur vivono oggi nonni, genitori, figli e nipoti. Uno scossone alla demografia potrebbe darlo la recente iniziativa New Life che vede la comunità aprirsi all’adesione di cittadini a tempo che potranno inserirsi per tre mesi nelle comunità, e decidere poi se proseguire l'esperienza. “Nuove persone significa per noi nuova energia e nuove idee. Riteniamo il rinnovamento un fattore importantissimo per mantenere viva e propositiva una comunità. Ci piace anche pensare che chi farà esperienza qui potrà portare semi di pace e cooperazione nel mondo”.
Formica è una persona pratica, ama le soluzioni intelligenti. Ci mostra la casa che gira per approfittare al massimo dell’energia del sole. La sua di casa, che condivide con il marito Gorilla, è stata invece ricavata sugli alberi, trasformando quella che era prima una capanna di ragazzi oggi ormai cresciuti. Il nucelo che si occupa di energia alternativa lo vediamo da lontano ma basta. Sembra il laboratorio di Archimede Pitagorico: vetrate, pannelli fotovoltaici, collettori solari, tubi per l’immagazzinamento del calore, forni solari, impianti eolici. Da queste sperimentazioni ne è scaturita un’azienda che attualmente opera in tutto il Paese. Poi una casa in paglia e argilla: “È passiva e a chilometro zero, tutto il materiale lo abbiamo ricavato nella regione, compreso i coppi che ricoprono il tetto”. I damanhuriani progettano e costruiscono le case da sé seguendo i criteri della bioedilizia. Un lavoro comunitario per molti espletato nel tempo libero e che tutti definiscono estremamente divertente. Visitando un edificio con Formica, si finisce per certo nella “sala macchine”. Davanti a grovigli di tubi e rubinetti immancabilmente esclama: “Questo è il locale più importante della casa!”, per poi passare a spiegare come e quanto si riesca a risparmiare energia e a coprire il fabbisogno con fonti rinnovabili con coinvolgente entusiasmo e ammirazione per i tecnici di Damanhur. Attualmente la comunità copre con fonti energetiche proprie e rinnovabili il 35% del consumo elettrico, il 65% dell’acqua calda sanitaria e il 90% del riscaldamento degli edifici.
Rimanere soli, a Damanhur, è ardua impresa. Subito qualcuno di accosta, chiede di noi, racconta di sé. Così non facciamo in tempo a sederci sul divano del bed and breakfast che giunge Faraona. Posa la giacca dietro una porta che dà direttamente sul soggiorno comune: “La mia camera è molto veloce”, ci dice questa farmacista che da otto anni vive qui. “Devo mostravi la mia echinacea!”, sobbalza sul divano, scompare e in un battibaleno riappare con due vasi per le mani. Sono radici messe in soluzione: “Non sono belle?” domanda per lei retorica; la sua farmacia empirica dà sollievo a tutti quanti, così come il suo canto mentre svolge il turno in cucina. In una casa nel bosco Camaleonte non perde l’occasione di farci sentire una pianta che, collegata a un sintetizzatore, ha imparato a suonare. Federico ha la varicella i nonni, giunti in visita dall’Emilia, non lo abbandonano un attimo. I genitori sono in attesa del secondo genito. Manuela esce per andare al corso di pranoterapia, arte curativa molto praticata dai damanhuriani. Stambecco ha saputo della nostra presenza e ha fatto un salto per salutarci. Ha pubblicato in internet un libro in cui descrive la vita a Damanhur, visibile nel sito della comunità. Rampi rientra dal turno di pompiere e si mette a discutere di installazioni per la produzione elettrica con Argo. È tutto un viavai. I damanhuriani sono gente molto impegnata. Al mattino sarà lo stesso Argo a impedirci di fare colazione da soli. Impiegato in un’azienda tedesca ha allestito l’ufficio in casa e periodicamente si reca in Germania. Parlando dei pro e dei contro della vita comunitaria ci dice: “Abbiamo lavorato talmente tanto sui contro che oramai non li vediamo più. Ci conosciamo e sappiamo rispettare i bisogni di ognuno. In più, ci sosteniamo a vicenda e di certo non ci annoiamo mai!”. È difficile descrivere Damanhur nella sua poliedricità e di nuovo ci appoggiamo alle parole di Argo che soppesa: “Cos`è Damanhur se non le persone che ci vivono?”; così come cos’è la società se non i singoli che la compongono? Con voi.

Cindy Fogliani - Gente Sana gennaio 2011